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L’archivio porno del Luce. La vera storia di una beffa mancata.

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La riforma varata dal Governo cambierà ancora una volta la struttura del cinema pubblico a Cinecittà. Per tornare all’antico? Quasi. Ecco cosa nasconde veramente la cineteca più famosa d’Italia.

“Al Luce c’è un archivio segreto di materiale pornografico”, dissi una volta ad una festa, in una villa appena fuori Roma, tanto per combattere la noia di una serata inutile. “Ma davvero”, “Che ficata”, “Mi fai avere un dvd, per piacere”, furono le reazioni degli altri invitati, scossi e liberati in un attimo dalla stanca apatia estiva. Ovviamente non c’è nessun archivio pornografico al Luce. Fu un innocente scherzo di mezz’estate. Ma quelle reazioni mi fecero riflettere. Era il 2005 e il ministro Urbani mi aveva nominato alla Presidenza dell’Istituto Luce da meno di un anno. Ci avevo messo poco ad innamorarmi delle teche del Luce. Un archivio sterminato, pieno delle immagini più belle della storia dell’Italia contemporanea. Da quelle più crude della Grande Guerra, fino alle riprese crepuscolari del tramonto tunisino di Bettino Craxi (la sua ultima intervista, in pareo, fu registrata proprio dagli operatori di Cinecittà). Dalla cultura contadina degli inizi del secolo scorso fino ai fast food in Piazza Duomo degli anni Ottanta, passando attraverso il fuoco della retorica fascista (“Il cinema è l’arma più forte”, diceva Mussolini), i cinegiornali e i documentari del Luce hanno veramente raccontato il passaggio epocale di un intero paese. Nei cellari sulla Tuscolana c’è di tutto: insieme con la storia ufficiale, ci sono le immagini, ancora in gran parte inedite, delle diverse storie “verticali” del costume, del cinema, dell’architettura, della religione, ecc. Tornai a parlare dell’archivio porno del Luce qualche settimana dopo. A Cannes, durante il festival mercato della televisione più importante del mondo, il Mip Tv, andai a cena con due care amiche. Alessandra Zingales, recentemente scomparsa, e Sveva Filippani Ronconi, entrambe ai vertici della Polivedeo di allora (la stessa società che ha prodotto “Moana” per Sky). Raccontai l’aneddoto della festa e ci divertimmo a commentare le reazioni. Poi cominciammo a riflettere. In men che non si dica avevamo organizzato quello che sarebbe potuto diventare lo scherzo mediatico dell’anno. Da far impallidire il caso delle finte teste di Modigliani realizzate con un trapano elettrico. Pensammo a tutto, mentre la serata volava via, fra un bicchiere di vino ghiacciato e una porzione gigante di coquillage. Gli operatori del Luce, durante il fascismo, erano dotati di un documento di identità che li equiparava ad ufficiali dei servizi segreti (non è uno scherzo). Serviva per passare i numerosi posti di blocco quando i cameraman si recavano a riprendere eventi ufficiali. Noi inventammo che il vero motivo di quei lasciapassare era in realtà l’esibizionismo di Mussolini. Per mantenere la fama di grande amatore, il Duce (fu la nostra invenzione di quella sera) amava collezionare i filmati delle imprese realizzate nell’alcova. I lasciapassare servivano così a permettere agli operatori del Luce di entrare a Palazzo Venezia o a Villa Torlonia a qualsiasi ora. Ridemmo di quell’idea e alla fine della cena il progetto della beffa mediatica era pronto, in ogni dettaglio. Finita la cena, ci avviamo verso i rispettivi alberghi. Il fresco del lungomare mi schiarì le idee. “Non posso farlo”, trovai alla fine il coraggio di dire. La delusione si dipinse sul volto delle mie due amiche. “Urbani mi ha nominato da poco. Ho fama di persona seria. Non ci si aspetta che io possa organizzare una cosa del genere. Troppo goliardica. Mi spiace”, aggiunsi. Ci salutammo con un sorriso complice e la cosa finì lì. Un anno dopo, però, fui costretto a rammaricarmi di quella esitazione. La Wilder di Lorenzo Mieli, a luglio del 2006, con il repertorio del Luce produsse per History Channel “La storia proibita del ‘900 italiano”. La presentazione era esplicita: “L’evoluzione dei costumi sessuali degli italiani ripercorsa attraverso le passioni e gli amori, gli intrighi e i tradimenti degli uomini e delle donne che hanno fatto la storia. Dall’erotismo dannunziano agli scandali della sinistra italiana, dagli amori tragici dei palazzi del potere alle perversioni del mondo del cinema”. Mi mangiai le mani ma imparai la lezione. L’archivio del Luce è molto grande: sono più di 4.000 ore di filmati e più di 400.000 fotografie. Ma la sua vera caratteristica è di essere infinito, dal punto di vista tematico. Non ci sono confini alle ricerche che si possono effettuare nel mare di quelle immagini. Lo sa bene Folco Quilici, forse l’unico regista al mondo ad aver avuto la possibilità di prendere visione di tutto il materiale conservato sulla Tuscolana. Sulla base di un idea di Giuseppe Sangiorgi, e con l’aiuto di un terzetto di storici con gli attributi, Quilici realizzò alla fine degli anni Novanta un documentario unico e magico: l’intera storia del Novecento italiano raccontata con 30 ore di montaggio serrato del repertorio del Luce. Anche oggi, i registi italiani delle nuove generazioni, da Gianfranco Pannone a Steve della Casa, da Marco Spagnoli a Antonello Sarno, con il materiale del Luce continuano a realizzare fantastici documentari. La scorsa settimana il Governo ha varato una riforma proposta dal ministro dei Beni Culturali Giancarlo Galan che è destinata a razionalizzare la struttura di Cinecittà. “La società –  scrive l’Ansa – secondo quanto si apprende da fonti ministeriali, rinasce più agile e snella vigilata dal Mibac e si dedicherà unicamente e in maniera più incisiva alle sue funzioni storiche ovvero promozione, distribuzione e conservazione del patrimonio cinematografico”. Forse è un bene. Era già successo nel secondo dopoguerra. Con un paese intero da ricostruire il giovanissimo sottosegretario Giulio Andreotti si fece carico di un’impressionante azione di lobby per convincere opposizioni e sindacati a lasciare un po’ di soldi per la conservazione dell’archivio dei cinegiornali del Luce. Soldi che allora furono tolti alla ricostruzione di ospedali e strade. Fu un gesto necessario. Un paese senza memoria è votato al baratro. Quando Quilici iniziò la sua esplorazione degli archivi del Luce, trovarono, nel magazzino, alcuni armadi. Un’etichetta diceva “armadio delle ragazze”. Erano pieni di piccoli frammenti di pellicola. Non era materiale erotico (nonostante quella indicazione, “delle ragazze”). Si trattava dei tagli del montaggio che le “ragazze” delle pulizie erano incaricate di mettere da parte per possibili usi futuri. Già allora quelle “ragazze” stavano pensando a noi. Sarebbe un peccato deluderle. Il Luce è uno scrigno di tesori ancora da esplorare. La memoria è il nostro futuro. A Galan, che ha preso il toro per le corna (dopo anni di sprechi), ma soprattutto al Luce e ai suoi bravissimi dipendenti, tutti i nostri auguri.

Pubblicato il 13 luglio 2011


Archiviato in:cinema Tagged: alessandra zingales, Bettino Craxi, Cinecittà, cinegiornali, cinema, Folco Quilici, Giancarlo Galan, Giulio Andreotti, history channel, istituto luce, lorenzo mieli, Mibac, moana, Palazzo Venezia, polivideo, wilder

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